E P I C L E T I, by Gian Paolo Guerini

una folata e la reticenza della ciocca lambisce volute di lame di forbici
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nell'urna glaciale, porpora lignea o ringhiare del precipizio, il mandorlo s'infrange al gelo
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nel languore l'ordito sopito polverizza l'insolenza
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i tentacoli dell'addobbo arso e scolorito misurano i bagliori del fondale
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la folgore della ferita non può soccombere se la benda labile stende lenzuola
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all'apice della salsedine la rugiada ruvida come al culmine del salmastro la rovina avida
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assaporati i presagi della sillabazione nella steppa la greppia stroppia
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l'ilarità del sillabario è la parola sillabario perché la parola ilarità è vicina alle esequie scoscese del sillabario
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rabberciare la falda o lambire l'ombroso fluire incornicia d'ansia le ore dell'astioso sonno
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che la piuma densa della fiamma ansimante che innaffia con oceano il seme di sequoia possa esentare il piombo dall'obbligo della trasparenza
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la lama pare bussare dall'interno del forziere mentre dobloni agonizzanti ne ammuffano il velluto
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da un gomitolo di fieno le schegge esortano il catrame a squamarne lo squillo
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quando macchie d'aceto aspergono il mantello del barcaiolo allora la pergamena diventa acqua e la serpe diventa riva
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lo sguardo misura la circonferenza della testa quando il cappello calza al limite delle ciglia
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se satura la riviera allora la rena sommerge spuma e maestrale
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potessimo annegare il vacuo irto dell'innaffiatoio allora il lembo della giuntura potrebbe irrigare i capillari degli ombrellai
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al culmine del misfatto solo la mucosa può considerare il cavatappi alla stregua dell'uligine accarezzata in scherno alle bollicine
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mentre piove la scimmia coltiva le melanzane sul sentiero impervio del languore
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solo le tumultuose nebulose sanno aggrapparsi alle redini di fulmini ricciuti prima che la muffa interstellare le scolorisca
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solo se il vetro fiammeggia sul sagrato estivo il brindisi può spolverare l'arsura del cavatappi
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sollevatosi sul meriggio della gengiva il sorriso plana al culmine della carie
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la farina del biscotto appanna il polpastrello dell'ingordo
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se la mano nuda si distrae la caffettiera urla
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con poco cibo si contempla l'impazienza degli affamati
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non muoversi e galoppare muti ha un significato soddisfacente solo grazie alle briglie
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il buco in fondo al grigio e i sassi in fondo al cemento si mescolano con lama e manico
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quando vorrai sotterrarti con me insegnami grida e baci infetti
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facendo incetta di zattere e gelsomini il ladruncolo nutre naufraghi e giardinieri
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spaventato brandendo una forchetta offrire alla paura un argomento per scappare
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il seme ha imprecato fino alla spiaggia mentre l'anguria si tuffava dall'alto della mareggiata
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sonnambulo con un sassolino nella scarpa come se schiacciasse un pisolino
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affacciato alla fiamma della muffa il soccorritore annebbia la candela che annaspa
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il tabacco che arrostisce l'architrave giova alla premura del saccheggio e al filo di fumo della matassa
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bisogna stare nel segreto come litanie destinate a corrispondenze nel cosmo
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se il fabbro sudicio paga poco il ferro allora il ferro sporco insozza la tasca del fabbro
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la candela ingobbita lacrima verso il santuario della discesa incurante che la pedalata incenerisce lo stoppino logoro
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come fango su un viso imbronciato la tristezza percuote l'incapacità di lavarsi
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l'alluvione disputa l'incedere del remo
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per il testardo strepitare una bugia è come per l'inetto tenere nella tasca bucata un tappo
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l'ingordo piscia accovacciato sul letame del becchino
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tra possibilità e necessità è il desiderio la condizione del delirio come alterazione delle origini
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col pastrano sdrucito quando ciò che importa è la sudicia nudità
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quando il rasoio bevve gocce salate il mare molle sognò un osso riverso come drappo
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nelle belle giornate la pioggia decora la polvere da poco sbocciata
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l'aguzzino che preme allo stipite ha le unghie intrise dal sudore del falegname
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l'alito salivando gonfia l'ombra del bottone che il fiato disperde a colpi d'unghia
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il vestito più bello dell'ubriaco ingrassa giardino e palazzo del ghiottone
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se stringi il miele con la protesi del vinaio vedrai l'aceto riverso su fuchi esausti
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la lamiera rovente toglie la spugna che esplode tra le mani
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acerbo confine dalla ruggine col tempo senza voce
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sul piano celeste la dimore del fulgore emana un cataclisma
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la pioggia non si muove neppure attingendo al pozzo delle lusinghe
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all'orlo dello stesso nome la terra tocca acqua che risuona
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si dilegua una nuvola e l'angelo della morte è la sua ombra
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al sorgere della mano il tuo occhio appare profondo
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